OmissisEboli, cause perse: Prefetto e Comune esposti al ridicolo

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L’assessore Lenza “dà solidarietà” ad un’ex socia dell’Elaion che ha diffuso una nota dove non c’era scritto come stessero davvero le cose su una vecchia storia giudiziaria. Ecco cosa è successo.

 

Quante volte accade che dietro ad un vicenda in apparenza difficile, complicata, tragica e che chiamerebbe tutti al senso di giustizia, si nascondano in realtà piccoli e grandi interessi, loschi figuri e maneggi di tutt’altra natura? Tante, troppe volte: il rom che ti implora col bambino in braccio salvo poi salire a bordo di una fiammante Bmw parcheggiata dietro l’angolo; il parassita che chiede un posto di lavoro qua e là ma col conto in banca a sei zeri; la vittima di ingiustizie che, in verità, era carnefice, etc. Capita pure che alcuni ci caschino, si bevano la storiella e si regolino di conseguenza. E’ la vita. Quando, però, è un ente pubblico a infilarsi, per giunta consapevolmente, in una faccenda privata dietro la quale si cela il contrario di quel che sembra, ecco che tutto si complica, legittimando sospetti di intelligenza con il merito e i protagonisti della sceneggiata.

Succede, dunque, che il comune di Eboli, in persona dell’assessore alle Politiche sociali Lazzaro Lenza, si sia infilato in una vicenda dai contorni opachi, preoccupanti -si direbbe- tenuto conto delle relative responsabilità. Come? Sottoscrivendo una nota, su carta intestata del municipio, di “solidarietà” nei confronti di un’ex socia della coop “Sanatrix-Nuovo Elaion”, storica struttura per la riabilitazione dei disabili che dà lavoro a circa 300 persone, licenziata alcuni anni fa per condotte contrarie allo statuto della coop e, forse, anche ad altro. La signora in questione si chiama Giuseppina Giannattasio, la quale dal giugno scorso manda note e comunicati stampa a mezzo mondo (è giunta anche nelle nostre e-mail) attraverso cui lamenta il mancato reintegro nella compagine sociale e, soprattutto, la mancata corresponsione di una consistente somma di denaro (circa 160mila euro), qualità riconosciutele da una recente sentenza civile del tribunale di Salerno, chiamato a decidere su uno dei mille aspetti di questa storia, peraltro non di mera natura lavoristica. Infatti l’ex socia risulta imputata in un processo per diffamazione nei confronti degli amministratori della coop e del presidente Cosimo De Vita (vedi il comunicato stampa in pagina). Ma non è questo il punto, almeno non solo.

Il 23 agosto scorso l’assessore Lenza, quindi l’amministrazione comunale, riscontra una nota del prefetto di Salerno Malfi, vergata da un suo vice (Falasca), con cui si chiedeva al comune di intervenire in favore di questa signora. Va aggiunto che il roboante comunicato fu mandato persino al presidente Mattarella.

Ora, se è comprensibile che un ente distante dal territorio, non conoscendo i retroscena, possa incorrere nella leggerezza di farsi promotore di una causa persa, lo è molto meno che lo faccia un comune, un assessorato, per giunta diretto da una figura qualificata come Lenza, non proprio l’ultimo dei mohicani. La realtà racconta tutt’altro. Andiamo con ordine.

In primo luogo, appare strano che si invochino i Servizi sociali per un soggetto che vive in una villa di circa 600mila euro di valore. E’ stato il prefetto a chiederlo immaginando chissà quale disagio economico: a meno che non ci siano elementi di altra natura (psicologici, sociali, familiari, ambientali, etc.) è evidente che la cosa appaia impropria. Ma quello è il prefetto, che ne può sapere? Il comune, al contrario, sa bene come stanno le cose e quindi “dando solidarietà ed invitando la Sanatrix a dare esecuzione alle decisioni dell’autorità giudiziaria” si infila nel tunnel, sposando la causa senza la prudenza necessaria. Lenza sa, o dovrebbe sapere, che la coop ha già dato esecuzione alla sentenza, reintegrando la signora nella qualità di socia, vale a dire l’unica cosa che il giudice ha -per ora- stabilito (è in corso l’appello) escludendo qualsiasi dazione di danaro in favore della stessa.
Cosa che né al prefetto Malfi né al presidente Mattarella è stata detta, contando invece sull’aspetto mediatico della storia, che una volta diffusa in certi termini, fa apparire tutto diversamente. Infatti, la signora in questione ha mandato al cda della coop un plico con documenti, reiterando analoghe condotte che la portarono al licenziamento: la minaccia di far commissariare il centro Elaion, di fargli perdere la convenzione col Ssn ed altre gravi affermazioni, se quei soldi non venissero corrisposti, si avvicina più ad una forma di estorsione -come testualmente scrivono gli amministratori- che non alla rivendicazione di un diritto.

Ma la cosa originale è che l’assessore Lenza ha quasi completamente fatto un copia/incolla di una lettera scritta verosimilmente non da lei: il che aggrava di molto la situazione, la sua e del comune. Infatti nelle stanze municipali la signora non l’ha mai vista nessuno: hanno però visto il marito della donna, un ex sottufficiale della Gdf dal curriculum pluri-macchiato da disavventure giudiziarie (calunnia, diffamazione, falsa testimonianza, appropriazione indebita), in pensione per riforma ed oggi affannosamente impegnato a rifarsi una verginità con la politica. Ovviamente nei 5 Stelle, l’habitat più adatto per un certo tipo di personaggi. Pare che un alto burocrate del comune abbia con questi contatti continui, il che depone molto male per la stessa amministrazione. Che conosce bene la storia, sa che dietro il delirio propagandistico si celano vicende che coprirebbero di vergogna chiunque, specie chi ha indossato una divisa. Se dà la solidarietà significa che ne sposa la causa. L’assessore avrebbe potuto chiedere -ad esempio- se il flusso di danaro che circolava sui circa 20 conti correnti nella disponibilità del marito (e che un inconsapevole pm ebbe ad archiviare anni addietro, seppur vanamente visto che la storia è ancora in mano giudiziaria) quando ancora indossava la divisa, compreso il suo, non sia stato sufficiente a risparmiarle i vantati patemi. Oppure chiedere quante risorse ci siano nel fondo fiduciario istruito quando le cose hanno iniziato a farsi difficili e il gioco dei “contributi culturali” ad associazioni dove ella militava venne scoperto. O, ancora, domandare se il cognome Folino dica o meno qualcosa. Chi è? Un imprenditore “costretto” a lasciare l’Italia dopo che l’ex finanziere, comandato di indagare su di lui dai magistrati fallimentari non indagò come doveva, e si ritrovò in società con la signora Giannattasio nella srl “Sacher”. E pure con la di lei suocera. Per non dire di molto altro ancora che, per ragioni di spazio, non riusciamo a contenere adesso.
Quindi, di che stiamo parlando?
dal quotidiano “Le Cronache”

 

 

Peppe Rinaldi

Giornalista

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