OmissisAgente travolto dallo scooter, ha sbagliato. A non sparare

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Le leggi fanno cultura. E la cultura produce leggi. In mezzo c’è quello che chiamiamo principio di realtà: che non sempre va d’accordo con le une o con l’altra, anzi. Prendi le ultime quarantotto ore: a Napoli un poliziotto intima l’alt ad una coppia su uno scooter, questi neppure si pongono il problema e passano letteralmente sul corpo del poliziotto. In Veneto, un carabiniere fuori servizio intercetta un’auto in fuga da un posto di blocco ma ne rimedia una gragnuola di pugni e calci da tre zingari di etnia sinti.


Avrebbero dovuto usare le armi questi rappresentanti delle forze dell’ordine, o i loro colleghi presenti, per fermare quelli che presumibilmente non erano studenti di Oxford ne’ carmelitani scalzi? Secondo le leggi no, secondo la cultura forse: quanto alla “realtà” la risposta spesso si fa pleonastica, ma al massimo lo si può sussurrare a denti stretti. E la realtà ci dice che non sempre puoi cambiarli i fatti. Questi: sabato sera, poco prima di mezzanotte, Napoli città, traversa di via Rosa Roll, zona abbastanza centrale. Un agente del Servizio anticrimine vede arrivare la Honda SH, alza la palina ma la coppia (maschio alla guida e femmina dietro) lo centra in pieno scaraventandolo per terra. Il poliziotto batte la testa sull’asfalto, i due si dileguano. L’agente viene trasferito al Cardarelli, con trauma cranico e contusioni varie causate dall’impatto. Scatta l’allarme, entrano in scena i Falchi (storico reparto napoletano con agenti in borghese su agili e potenti moto adatte per i vicoli di Napoli) che iniziano un inseguimento al cardiopalmo su via Foria verso l’Orto Botanico. Poi il patatrac: una mini auto, infernale scatoletta di tonno su ruote che si può guidare senza patente -infatti al volante c’era un ragazzino- taglia loro la strada, l’impatto sarà forte. Bilancio: altri due poliziotti feriti, insieme al conducente della macchinina, in totale quattro persone a pezzi e altre due ricercate. Due le ipotesi: o a bordo dello scooter c’era un latitante oppure, molto più banalmente, il mezzo era sotto sequestro o senza copertura assicurativa. Che quattro persone potevano rimetterci la pelle, invece, non è solo una alternativa. Se avessero sparato, staremmo già a contare i lanci di agenzia con dichiarazioni e maledizioni contro “gli sceriffi”.

Cambio di scena, Santa Lucia di Piave, provincia di Treviso, siderale distanza da Napoli, in tutti i sensi. O quasi. Marco Pittarra, 27enne carabiniere scelto di Conegliano Veneto, di ritorno dal lavoro incrocia un’auto che non s’era fermata a un posto di blocco. L’istinto gli suggerisce di intervenire e mette di traverso la propria auto sulla strada, costringendo gli occupanti a fermarsi. Sono in tre e lui, che in quel momento è disarmato, non fa in tempo a qualificarsi che viene assalito con calci e pugni ovunque. Poi sopraggiunge una gazzella dei carabinieri che ammanetta i tre sinti e chiama i soccorsi per il giovane collega. “Lo rifarei, si è carabinieri 24 ore su 24 non solo in servizio” ha detto Pittarra al Gazzettino.

A Ostia invece, sempre ieri, il quadro si capovolge: un poliziotto, dicono dalla pistola facile, ad un posto di blocco spara nel parabrezza di una Fiat 500 d’epoca ma i vetri colpiscono in un occhio il conducente, che poi subirà un lungo intervento. Opposte le versioni, un’inchiesta chiarirà, di certo c’entra il discorso sulle armi, che non ci schioda dal principio di realtà: se Pittarra avesse avuto la pistola con se’ (com’era altamente probabile) avrebbe dovuto usarla? No, perché quei tre potevano essere i tuoi figli o fratelli, a ciò si “ispirano” leggi e cultura: vero, ma pure Marco poteva essere il papà di un bambino e non è detto che doveva andargli bene per forza. Idem per i tre agenti napoletani. Come se ne esce? Per ora non se ne esce, contenti così. Questo il vero problema.
dal quotidiano “Libero” del 15 novembre 2016

 

Peppe Rinaldi

Giornalista

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