OmissisTribunali e sentenze: la vittoria di Pirro dell’ex finanziere a 5 Stelle

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I cinque lettori di “Le Cronache” devono fare un piccolo sforzo sopportando qualche riga su vicende personali. Di chi scrive, del direttore Tommaso D’Angelo e della società editrice. Nella vita di un quotidiano accadono anche cose così. Spieghiamo. L’altro ieri nella nostra posta elettronica e in quella di un numero imprecisato di colleghi ed amici è giunta un’email dall’indirizzo dell’ex maresciallo della Finanza di Eboli, Angelo Voza, personaggio noto a queste colonne, alla stregua di migliaia di altri.

Oggetto della mail: Condanna per diffamazione. In allegato un comunicato e la copia della sentenza di I grado del tribunale civile nei confronti dello scrivente, del direttore responsabile e dell’editore. Succede in qualunque redazione, non è questo il punto, come vedremo, e, se non ci fosse stata la eco «pubblicitaria» determinata dalla comprensibile eccitazione dell’ex militare oggi attivo militante dei 5 Stelle, e tutto si fosse svolto nelle sedi naturali, neppure ne parleremmo: di “Voza” ne esistono a bizzeffe nel nostro universo ma, stando così le cose, siamo quasi costretti.

Il 12 novembre scorso il giudice civile Antonio Ansalone ci ha condannati al risarcimento danni di seimila euro (Voza ne aveva chiesti prima 100mila, poi 25mila) più spese ed onorari vari, perché tre articoli da noi pubblicati -nell’ambito di un’inchiesta sul processo di formazione di una decisione giudiziaria che vedeva al centro proprio l’ex sottufficiale- non sono «risultati veritieri». E’ ovvio che non abbiano potuto esserlo: noi non ci siamo difesi perché, per un’inescusabile distrazione di chi ora scrive, alla data d’udienza non ci siamo neppure costituiti: e dire che avevamo rifiutato il tentativo di conciliazione perché arci-sicuri di quanto avevamo scritto. Poi, si sa, a volte il diavolo ci mette lo zampino e succede l’incredibile. Del resto, chi è assente ha sempre torto. Andiamo avanti.

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Abbiamo scritto il falso dunque? No, nella maniera più assoluta, tant’è che nel giudizio d’appello andremo a dimostrare la fondatezza della nostra inchiesta. Che, per inciso, ribadiamo virgola per virgola. Il giudice ha scritto, in nostra assenza, che tre articoli (su un numero molto più alto ma di cui non si dice nulla, deducendone così la fondatezza) «non sono veritieri nei limiti di cui in motivazione»: vedremo meglio cosa si intenda «nei limiti» nel testo integrale della sentenza appena ci sarà notificata, quella diffusa ieri è solo uno stralcio.

Ma cosa abbiamo scritto in quei tre articoli? In sintesi:

1) che in un decreto di archiviazione a favore di Voza, emesso dall’ex presidente dei gip salernitani, Bruno De Filippis, si dava notizia dell’apertura di un nuovo, parallelo procedimento penale a suo carico per appropriazione indebita. Era falsa la notizia? No, era vera, solo che al giudice non abbiamo potuto far vedere gli atti;

2) che ci è parso strano che un giudice abbia potuto scrivere che Voza non sia stato fautore di un’indagine, risultata poi infondata, a carico di un imprenditore (Cosimo De Vita, presidente del Centro Elaion di Eboli) quando negli atti del processo c’è scritto a caratteri cubitali e a firma di un ufficiale della Sezione Navale della Gdf di Salerno, l’esatto opposto, cioè che un certo procedimento penale contro l’imprenditore sia nato proprio «da una segnalazione del luogotenente della Gdf Angelo Voza». Inoltre: che ci è apparso più strano che quel giudice abbia potuto scrivere che attribuire al Voza la ‘paternità’ dell’esposto contestato rasenti la calunnia senza poi procedere con un’imputazione coatta o una trasmissione degli atti alla procura contro il presunto calunniatore. Era così? Sì, solo che al giudice non abbiamo potuto dirlo.

3) che quando l’ex finanziere ha prestato servizio in Romagna s’è trovato sul collo le relazioni dei comandanti provinciale e di compagnia, dove si traccia di lui un profilo estremamente negativo, confliggente con rappresentazioni pubbliche di segno contrario. Le relazioni degli ufficiali riferivano ancora sulle doti morali e professionali del loro sottoposto, dell’inopportunità di certi suoi rapporti con commercianti e imprenditori, di scarsa trasparenza ed altro ancora. Ecco cosa, tra molte altre, avevamo scritto e che il giudice ha considerato «non veritiero» perché non poteva sapere, vista la nostra imperdonabile assenza, che era tutto nero su bianco su documenti pubblici di varie istituzioni della repubblica. Gli stessi che produrremo. Tanto dovevamo ai nostri cinque lettori. Con tante scuse (a tutti e cinque). Per ora.

 

IL GRILLINO, L’ONESTA’ E LE INDAGINI IN CORSO

Il maresciallo (ex) a 5 Stelle, è un aficionado dell’espressione “macchina del fango”, parolina magica dagli effetti portentosi sulle teste pensanti dei social network, brodo di coltura attuale dell’ex sottufficiale. Al netto di quanto scritto sotto, rimaniamo in attesa della sentenza integrale che ci ha condannati in contumacia, cioè in nostra assenza: siamo però sicuri che, mancando diverse pagine a quella diffusa senza troppo successo in rete e ai media da Voza, non ci siano parti che specifichino le ragioni della condanna, magari proprio in relazione alla nostra assenza dalla discussione e dalla conclusione della causa. L’integrità morale, ampiamente rivendicata per sé in autonomia dall’ex maresciallo, gli avrà impedito di nascondere la verità. Vedremo. Per quanto ci riguarda l’ex maresciallo con il pallino della richiesta di soldi e contributi ad aziende pubbliche e private per iniziative culturali, è innocente alla stregua di chiunque, fino a prova contraria. Se proprio vogliamo dirla tutta, neppure le sentenze incarnano per noi verità eterne ed assolute. Pertanto, tenuto conto della fragilità del sistema giudiziario e della scontata fallacia di quest’umana attività, siamo consapevoli che in un tribunale possa accadere qualsiasi cosa. Come, del resto, ovunque.
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Tutto ciò però ha poco a che vedere con questa storiella e, in generale, con le notizie, i fatti, la cronaca, le opinioni. Voza abbaia alla macchina del fango, sproloquia di manovratori occulti, di caccia al Dna, inonda il web di commoventi frasi raccattate nei supermarket digitali, condivise e gradite da soggetti evidentemente sintonizzati su analoghi canali mentali ed intellettuali. Il punto è che l’ex finanziere grillino, libero di salmodiare come tutti, per noi è uno dei tanti in cui ci si imbatte in questo mestiere: divenuto, poi, di “interesse” giornalistico da quando si è trovato all’incrocio di un guazzabuglio interno alla procura di Salerno, le cui conseguenze sono in fase di definizione presso altre sedi giudiziarie. Una storiaccia. Per non dire degli altri procedimenti penali in corso tra Napoli e Salerno (un paio per diffamazione, uno per appropriazione indebita aggravata di circa 90mila euro, qualcun altro, pare, in arrivo per altri canali), o della surreale deposizione resa alla procura di Trapani nel processo Rostagno che gli è valsa un’indagine per falsa testimonianza.

C’è, ancora, una storia piuttosto opaca che lo impone all’attenzione della cronaca (in passato perché in divisa, oggi perché attivista politico): è normale che un finanziere diventi socio -così sua moglie e sua madre- di un soggetto su cui avrebbe dovuto indagare per reati finanziari su ordine dei magistrati e dopo aver “sorvolato” con questi su certe notizie relative all’indagato stesso? Normale non sappiamo, di certo ci sembra una notizia. Fatti già raccontati da Cronache e per i quali non risultano azioni risarcitorie né condanne. Per ora Il resto è birignao da Facebook: esilaranti invocazioni della rettitudine, il tripudio dell’«onestà». 

(dal quotidiano “Le Cronache” del 24 gennaio 2016)

 

Peppe Rinaldi

Giornalista

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