ARCHIVIONovaetveteraDisputa sulla ‘Toccata e fuga’ nel cielo delle nubi del Vaticano II

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Bach statua

Avere conferma del fatto che la Toccata e fuga in re minore di Johann Sebastian Bach, la più celebre composizione per organo in assoluto, sia in realtà da attribuire ad un allievo è circostanza assimilabile al crollo di un mito. E’ quanto è stato sostenuto dal maestro Cosimo Prontera nell’ultimo appuntamento della rassegna organistica della Badia di Cava del 26 luglio. 

Che la questione sia da tempo dibattuta tra i musicologi in ragione delle peculiarità stilistiche del brano, i quali oscillano tra l’ascrizione alla produzione del giovane Johann e la tesi di trascrizione per organo da un’originaria scrittura per violino, è altresì circostanza non nuova. L’attribuzione però ad un allievo di violino del Maestro, ancorché particolarmente dotato, semplicemente rivoluziona una delle immagini consolidate della musica classica.

Nell’intelligente e raffinato repertorio offerto dal maestro Prontera, la Toccata e fuga in re minore BWV 565 è stata contrapposta al Preludio e fuga in re maggiore BWV 532, uno dei vertici del virtuosismo bachiano. L’efficace lezione tenuta poi dall’esecutore ha inteso dimostrare come il motivo introduttivo di sette note della Toccata che, esordendo con la dominante “la”, conduce alla tonica “re” passando per la sensibile “do diesis”, denunci in realtà un’orditura troppo semplice per il sommo genio di Lipsia. Al di là dello stato della questione, affidata all’esame dei tecnici, non si può negare che la Toccata e fuga in re minore resti consacrata a rappresentare la musica per organo pur senza poterla giammai esaurire. Ne è stata prova il repertorio offerto da Cosimo Prontera, tutto incentrato sul barocco da Sweelinck a Walther, da Buxtehude a Bach, il principe per antonomasia. E con un incisivo titolo, “Non solo nordici”, a significare l’eredità musicale italiana nei compositori dell’area nord europea in costante rapporto con il modello italiano, che all’epoca dettava, letteralmente, legge al mondo della composizione. A riprova dell’assunto la trascrizione per organo di Bach BWV 593 del concerto di Vivaldi per violino in la minore, star indiscussa della musica europea del XVIII secolo, che solo Stravinsky poté accusare di avere scritto “618 volte lo stesso concerto”, circostanza evidentemente esclusa dai più raffinati contemporanei del “Prete rosso”.

A margine del concerto, segnato dalla doppia esecuzione come acclamato bis del “Ballo del Granduca” di Sweelinck, brano di raffinate variazioni che sembrano già preludere a Johannes Brahms, Prontera, conversando, ha sottolineato la stretta connessione tra la musica per organo e la prassi liturgica. L’impoverimento della liturgia segna, inevitabilmente, il ridimensionamento, se non l’eclissi, della musica per organo ad uso liturgico.

Le ragioni sono molte, ma tutte riconducibili a vario titolo per la Chiesa cattolica alla “cattiva amministrazione” che si è fatta della riforma liturgica del Vaticano II. Allo stesso modo in cui gli splendidi corali di Bach, pure oggetto di esecuzione al concerto nella trascrizione organistica Schuebler, non potrebbero essere concepiti senza il riferimento alla liturgia riformata del mondo protestante, così l’autentica liturgia cattolica non potrebbe prescindere dal gregoriano e dalla sua lingua naturale che è il latino.

Argomento ostico per la Chiesa cattolica che alle liturgie riformate ha inteso conformarsi sempre di più con l’abbandono progressivo del latino e senza godere neppure dell’apporto di un genio musicale sommo della levatura di Johann Sebastian Bach. Restano tuttavia delle encomiabili eccezioni in quelle frange di ordini religiosi – si pensi ai Benedettini di Norcia – che, alla celebrazione nel Vetus Ordo Missae e alla perfetta esecuzione del canto gregoriano senza accompagnamento strumentale, associano il sapiente uso dell’antico organo della cattedrale all’inizio e alla fine della celebrazione a rimarcare lo spazio sacro della musica.

Di loro, come di altri, opportunamente, un altro sommo genio, ma della poesia questa volta, direbbe: “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”. Parola dell’Alighieri!

Nicola Russomando

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Nicola Russomando

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