IN CITTA'Luigi Gallotta, testimone oculare del Novecento, quale tributo?

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Chi non resta affascinato da una vecchia fotografia che seppur impolverata preserva l’eccezionalità di quell’istante immortalato per sempre. Nell’era dei social a quanti sarà capitato di imbattersi in vecchie foto in bianco e nero “postate” da amici e parenti, pare che la frenesia di condividere ogni attimo della propria vita abbia contagiato tutti, diventando un costume, un modo per riconoscersi in una comunità, per tenere strette le briglia di una identità sempre più sfaldata e minata nei presupposti.
Nascono pagine social dedicate, intasate fino all’inverosimile da post rimembranti i “bei vecchi tempi”, le piazze, i monumenti, gli slarghi dove si giocava da bambini, i volti di uomini e donne segnati dalla fatica quotidiana, vita di paese immortalata in scatti fotografici che in questa particolare zona del Mezzogiorno furono testimoniate soprattutto dall’opera instancabile di pochi uomini, tenaci, coraggiosi, lungimiranti che con una Rollei al collo sono riusciti a raccontarne le vicende storiche. Un’umanità in evoluzione che nei decenni seppe narrare con occhio acuto il maestro Luigi Gallotta, ebolitano, tra i pochi del Novecento a cogliere l’importanza della fotografia come racconto del presente, del quotidiano.

Corso di istruzione professionale nella Regia Scuola Agraria; si distinguono donne con il fazzoletto celebrativo della “Battaglia del grano” del 1925-1935; in primo piano un’arnia.

Il suo immane patrimonio fotografico (tra la fine Ottocento fino agli anni ’80) resta una testimonianza concreta di quanto l’uomo abbia dato alla fotografia e viceversa. Cosa resta in città di lui e cosa si racconta è però altra storia, e se vogliamo anche un po’ triste.

In questi giorni ricorre l’anniversario della sua scomparsa, fu il 20 febbraio nel 1995 che si spense un testimone oculare non solo della storia cittadina, ma dell’intera provincia salernitana. Nato l’11 maggio 1898 patì gli orrori della grande guerra. Chiamato al fronte nel 1917 fu testimone della disfatta di Caporetto, durante la quale fu ferito e privato della sua attrezzatura fotografica. Ma sopravvisse e tornò nella sua città, continuando a raccontarne le vicende. Era consapevole del suo lavoro, scegliendo con meticolosa lucidità (che conservò fino alla fine) luoghi e persone. E quale omaggio Eboli tributa all’autore di gran parte delle foto storiche circolanti oggi sul web e su cui tra l’altro dovrebbe valere il copyright?
Gran parte del suo patrimonio fu svenduto dallo stesso per poche lire e, pochi anni prima della morte affinché fosse preservato ai posteri fu ceduto al Comune: oltre 45 mila scatti su lastra e pellicola di cui appena la metà oggi digitalizzata e consultabile sulla piattaforma Ebad, dove però poco o nulla viene detto di Gallotta (se ne ignora ad esempio la data di morte).

Come anche sulla volontà di intitolargli una strada, oggi tristemente rivelatasi una bufala. Via Luigi Gallotta non è mai esistita se non sulla carta, nella delibera n.197 del 13 novembre del 2000 dell’allora giunta comunale guidata da Gerardo Rosania. Da quel momento in poi il nome del “Cavaliere” è diventato uno dei tanti “toponimi non applicati”.

Si era anche pensato ad un luogo dedicato alla sua opera facendovi confluire fotografie e ricordi, uno spazio inaugurato nel centro storico il 1 maggio del 2008 dal sindaco Melchionda su progetto di Alessandro La Monica: oggi in piazza Porta dogana resta solo una gigantografia a testimoniare quanto labile sia la memoria degli ebolitani.

Ma in città, in chi lo ha conosciuto è ancora vivido il suo ricordo ed è la nipote Lucrezia, unica erede della famiglia Gallotta ad affidare al nostro giornale un suo pensiero:
“A quasi 25 anni dalla sua scomparsa mi fa piacere che c’è ancora chi lo ricorda, per alcuni era il fotografo Gallotta, per altri il Cavaliere, per gli amici più semplicemente “zì Giggin’. Tanto è stato detto e scritto sulla sua arte fotografica molto spesso anche svilendo il suo personale approccio con la realtà. Chi lo ha conosciuto bene sa che era uno sperimentatore, un sognatore e non un mistificatore, come a volte lo hanno definito illustri professori universitari che tanto hanno attinto dal suo imponente archivio fotografico (molti negativi svanirono nel nulla proprio in quegli anni, ndr) gran parte donato alla città di Eboli.
La sua visione della realtà veniva “ripulita” dalle brutture delle guerre che aveva vissuto per ricordare la positività in ogni circostanza, come la fotografia del matrimonio sulle macerie della seconda guerra scelta dall’Istituto Luce nella mostra fotografica “War is over”. Il Rotary gli conferì alla memoria il premio Paul Harris Fellow, massima onorificenza per chi si è contraddistinto per particolari meriti. Sono di parte, ma mi piacerebbe che non cadesse nell’oblio tutto il lavoro nei sui 90 anni di carriera e che gli fosse reso maggior merito per quello che è riuscito a tramandare alle generazioni future”.

Raduno in piazza Borgo

“Giovanni Verga, Renato Guttuso hanno scritto il nostro Verismo. Gallotta lo ha fotografato egregiamente”, disse di lui Tommaso Guarino raccontando del loro incontro ad Eboli in un evento organizzato per le scuole “venivo dal Teatro Officina di Milano, lui ricordò subito il mio volto, lo aveva fotografato a ogni fine di anno scolastico per circa quindici anni. Mi invitò a visitare il suo studio.
Vidi delle foto straordinarie, vidi in fila la stira di una città e dei suoi personaggi: dalla Monarchia agli anni sessanta passando per Mussolini. C’erano volti scavati di uomini e donne e bambini, poveri e le loro povere case, immagini che fecero ricordare le donne di Otto Dix e le creature di Carlo Levi. Il dolore si leggeva nella sua interezza. Poi ritratti di notabili, di loro circoli, le loro feste, i saggi ginnici, degli uomini forti, la tarantella delle donne belle. I volti di tutti costoro bene li hanno dipinti De Chirico e suo fratello Savinio. Poi vidi gli scatti degli anni sessanta dove gente e cose hanno il bell’aspetto del miracolo economico, quando a poco prezzo si poteva acquistare dal frigorifero all’automobile. Gallotta ha raccontato tutto questo con spirito liberale, certo di esserne un prezioso narratore.
Era colto e veniva da una famiglia colta. Nell’83 lo chiamai a Milano per una mostra. Glielo avevo promesso”.

15 Agosto 1926. Umberto Nobile in occasione del pranzo in suo onore nell’ex Municipio di Eboli
Filarmonica di fine Ottocento

 

Emanuela Carrafiello

Giornalista

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