BazArtIN CITTA'Tommaso Guarino: da Eboli a Milano lungo i sentieri dell’arte

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Di Tommaso non potevi che apprezzarne la profonda umanità, una persona fuori dall’ordinario, solitario, ma disponibile e generoso. Nel primo anniversario della sua scomparsa, di Tommaso Guarino, pittore, scrittore, drammaturgo e attore, vogliamo ricordare l’uomo e soprattutto il profondo legame con la sua Eboli, coltivato e preservato intimamente nonostante la vita l’avesse portato lontano.


Tommaso Guarino, al tempo Tommaso Sasso, nato ad Eboli nel 1944 non amava parlare di sé, né del suo passato di fanciullo “difficile”, nato da una relazione clandestina e dunque non riconosciuto. Un’infanzia trascorsa per strada e più volte allontanato da quel nucleo familiare che lo aveva accolto e in cui ritrovava fratelli e sorelle, affetti che negli anni coltiverà senza mai dimenticare le sue origini, impresse a fuoco nel suo immaginario anche quello pittorico, popolato soprattutto da figure femminili di grande solidità e concretezza fisica.

Spesso mi sono domandata cosa significassero quei ritratti femminili che caparbiamente l’artista proponeva al pubblico e più volte mi sono soffermata su quelle immagini sognanti dallo sguardo apparentemente vago e triste, ma più scavavo in profondità più mi accorgevo di quanto quelle figure fossero autentiche, vive, dotate di una propria individualità. Il pallore delle sue donne, la staticità, l’alternanza dei colori a tratti decisi e forti a volte morbidi, erano espressione dei profondi turbamenti umani che l’autore raccontava anche attraverso il linguaggio scritto. Nel suo libro “Io, Caterina e Pantaleo”, che ebbi l’onore di presentare ad Eboli nel 2004 nell’ambito di una sua personale, si delineano figure di donne dai sentimenti complessi, e in Pantaleo “malato di nostalgia” emergono tratti autobiografici come “il ritorno al paese natio e la continua ricerca di un rifugio, di calore umano”.

Vi è un fitto carteggio che testimonia il desiderio dell’artista di tornare nella sua città per far sì che la sua arte fosse conosciuta ai conterranei. L’occasione si presentò nel settembre del 2002 con una mostra dedicata al centenario della nascita di Carlo Levi. Fu in quell’occasione che Guarino ricordò l’incontro con l’autore del “Cristo si è fermato ad Eboli”, che ebbe modo di conoscere nel 1974 in una mostra allestita a Bologna, dove l’artista e scrittore torinese esponeva affiancato da artisti emergenti, Guarino era uno di questi. Un legame tra i due mai spezzato e che l’artista ebolitano volle omaggiare anni dopo allestendo una mostra proprio a Bologna presso la galleria Satura, negli stessi saloni che ospitarono Levi.

Viaggiò tanto Tommaso Guarino, allontanandosi da Eboli appena maggiorenne. Negli anni Sessanta si collocano le sue prime esposizioni artistiche. Frequenta scuole di pittura e studi di artisti parigini. Nel 1970 sarà presso la galleria Roche di Parigi.

Entra in contatto con scrittori, filosofi e commediografi e Milano diventa la sua seconda casa: “una città dai mille volti e dalle mille espressioni” così amava definirla. Fu tra i fondatori del Teatro Officina di viale Monza nella grande metropoli, lavorando come attore con Massimo De Vita e Daniela Airoldi Bianchi, oggi gli amici lo ricordano come “una bella personalità”, “un artista a 360 gradi”, tanto da organizzare nel primo anniversario della sua scomparsa un evento a lui dedicato. Questa sera alle ore 20 il Teatro Officina di Milano celebra Guarino con proiezione di brani dei suoi spettacoli, la lettura di testi, le testimonianze del quartiere , oltre a interventi di critici teatrali ed amici.

Tommaso Guarino è stato, infatti, autore di testi teatrali, ritratti poetici e sublimi di un’umanità disperata, come in Quannu nascette lu padrone (1978), Accussì lu destine vaje (1982) Fimmina e sulastru (1987), Faccia scura (2012), continuerà a scrivere per il teatro anche se sempre più sporadica diventerà la rappresentazione dei suoi lavori, concentrandosi sulla pittura. Sarà attraverso le sue tele che esprimerà pienamente la sua personale visione dell’esistenza umana.

Nell’eterna fissità delle sue figure traspare un sottofondo psicologico, una intensità di vita, come se l’artista ne cogliesse nel profondo l’anima, lasciando lo spettatore ipnotizzato e stupefatto.

I suoi primi ritratti, sia donne sia uomini, richiamano spesso alla mente figure e tonalità proprie dell’arte messicana, del mondo precolombiano, riscontrabile nell’artista Diego Rivera (1886-1957). 
Poi si assiste ad una seconda fase pittorica dove emerge la volontà di raccontare il mondo attraverso gli occhi, gli “sguardi”. Insuperabile è la malinconia che traspare dai ritratti di donne dalla bellezza eterea, di qualsiasi estrazione sociale e culturale, i cui occhi raccontano un’intima e struggente insoddisfazione.
Occhi che lui dipingerà, rigorosamente ad olio, anche nei piedi e nei seni nudi e che come uno strano scherzo del destino, saranno la sua dannazione.

Negli ultimi anni della sua vita Tommaso Guarino, fiaccato dalla malattia, diventerà cieco e sarà costretto ad abbandonare olii e pennelli. Nel dicembre del 2016 una delle sue ultime mostre al teatro Franco Parenti di Milano, “quadri che avevano confermato quella sua originalissima vena artistica per cui la concretezza dei corpi, della terra, della natura diventa, attraverso la via delle emozioni, poesia”.

Tommaso Guarino con Tindaro Granata, Mariangela Granelli e Francesca Porrini in “La memoria che vedi” spettacolo presentato nella rassegna milanese “Stanze”

 

Emanuela Carrafiello

Giornalista

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