NovaetveteraA Giffoni il gotico parla con accento inglese

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A Giffoni Valle Piana nella sagrestia del convento dei Padri Cappuccini si conserva incastonata alla sommità della parete del banco dei vasi sacri una lastra di alabastro scolpita con la scena dell’Adorazione dei Magi. L’opera rappresenta da sempre un mistero, almeno sin da quando nel 1983 lo storico dell’arte, prof. Carlo Raso, ne evidenziò l’importanza in un articolo apparso sul periodico di cultura “Il Rievocatore”.

Mistero nella misura in cui si ignorano le circostanze che portarono la lastra a Giffoni e il sito originario della sua collocazione. Chiara è invece la matrice dell’opera: appartenente al grande filone del cosiddetto “gotico internazionale”, è di fattura inglese, quasi sicuramente proveniente da Nottingham, centro medioevale della lavorazione in bassorilievo dell’alabastro e di esportazione di tali manufatti verso l’Europa continentale, Regno di Sicilia compreso. E, di fatto, nella sola Campania vi sono almeno due attestazioni di sculture simili, il grande polittico della Passione di Cristo al museo di Capodimonte, riportato al suo policromo splendore da un recente restauro, e le sette lastre delle “Gioie di Maria” con s. Margherita e s. Giacomo del museo della collegiata di s. Maria a Mare a Maiori. Tre esempi della medesima tecnica di scultura – cesello dell’alabastro, tutte collocabili tra metà del XIV e inizi del XV secolo, di cui l’esemplare giffonese resta il più difficile da definire nella sua funzione.

Mentre per il grande polittico di Capodimonte, concepito come macchina di altare, ovvero altare mobile, in origine presso la chiesa napoletana di s. Giovanni a Carbonara, se ne faceva risalire la funzione ad altare da campo di re Ladislao di Durazzo, così come non è difficile ipotizzare funzione di paliotto per le lastre di Maiori, la singola lastra del convento di Giffoni sembra sopravvissuta, almeno sulla base dei riscontri proposti, a qualcosa di più articolato.
Innanzitutto, non è concepibile che l’attuale collocazione sia quella originaria: un convento costruito nel tardo XVI secolo ha potuto solo accogliere in epoca successiva un manufatto di epoca anteriore. Considerando poi la fattura gotica di matrice inglese, essa è descritta da Carlo Raso in questi termini: “Il primo impatto con l’opera è tutt’altro che piacevole: i volti dei personaggi con occhi sporgenti e pupille spettrali, il Bambino dai capelli a zazzera e le curiose movenze, non hanno niente di quella grazia che è abituale in opere italiane di pari soggetto”.

La spigolosità del gotico inglese a confronto con quello italiano trova sempre a Giffoni terreno di confronto. E lo offre un altro convento, quello di s. Francesco, questo sì gotico nelle architetture originarie, riportate alla luce a seguito di lunghi e controversi restauri che però hanno eliminato per gran parte le sovrastrutture successive, in particolare gli stucchi rococò esaltati dallo stesso storico dell’arte come “quanto di più bello abbia creato il Settecento non solo nel Salernitano”.


Tornando al tema del gotico, è il ciclo di affreschi di scene della vita di Cristo presente in un ambiente della chiesa conventuale detta “coemeterium” a rappresentare il contrappunto al gotico internazionale della lastra dell’Adorazione dei Magi. Carlo Raso ne individuava le analogie con “il Maestro della Cappella Leonessa” della Chiesa di s. Pietro a Majella a Napoli al punto da ipotizzarne analoga paternità. Si tratta, come evidenziato, “di un ciclo di affreschi di scuola giottesca, unico per estensione e qualità in tutta la provincia di Salerno e paragonabile soltanto a quelli napoletani”, collocabile verso la metà del XIV secolo.

In particolare, le scene della predicazione di Cristo davanti alle folle e di Cristo condotto innanzi a Pilato con “il gusto per l’accalcarsi dei personaggi, i cui profili si stagliano grazie ad un marcato contorno”, ricordano “la raffinata civiltà dei comuni toscani del Trecento che rivive in questo stupendo particolare”.
Oggi questo ciclo di affreschi, unico nel suo genere nel salernitano, rischia di scomparire abbandonato com’è al degrado. Nonostante i lavori di recupero dell’intero complesso monumentale, a tale ciclo non è stata riservata la cura che gli è dovuta insieme con altri affreschi presenti nello stesso ambiente seppure di epoche successive. Anzi, da quando la chiesa è stata restituita al culto, tra Comune proprietario e Parrocchia comodataria, questa parte del convento “pudicamente” è interdetta al pubblico, con le vetrate degli archi di comunicazione con la navata centrale oscurate da riproduzioni cartacee degli stessi affreschi, laddove quello spazio ha avuto per destinazione la celebrazione di feste catechistiche, in ossequio alla pastorale giovanile cui la chiesa è stata destinata, o di deposito di materiale vario. Si è preferito infatti arredare la chiesa con suppellettili simil-gotiche, tra cui svetta la riproduzione, scontatissima, del “Crocefisso di s. Damiano”, piuttosto che dare al gotico originale il posto che gli compete.

Tra statue in vetro resina e presunte restituzioni filologiche si consuma l’ennesima saga del kitsch anche religioso. Cosicché le tracce di gotico che affiorano di qua e di là a Giffoni restano muta testimonianza di un gusto ben presente in altre epoche, di una committenza attenta alle sollecitazioni dell’arte, inserita appieno nel circuito della circolazione internazionale di opere e di artisti persino in luoghi “insospettabili” di un Medioevo senza confini politici o geografici.

 

Nicola Russomando

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