AGORA'Comuni del Sud liberi di buttare soldi, regalato un altro miliardo

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La scena è quella di sempre: giurate Voi (Comuni e Province, ndr) di onorare e rispettare gli impegni assunti e di gestire la cosa pubblica senza sprecare risorse, avendo come fine ultimo il bene comune? Dite lo giuro. «Lo giuro» è stata la risposta, virtuale, data alla Direzione centrale della finanza locale del ministero dell’Interno da 117 comuni e 12 province in condizioni di pre-dissesto sull’esercizio finanziario del 2017, cioè in uno stato di encefalogramma piatto dei conti pubblici, in pratica ad un passo dalla morte.

Entro settembre di quest’anno avrebbero dovuto dimostrare che le scadenze intermedie del piano di rientro procedevano correttamente: i debiti con i fornitori venivano onorati nei tempi e nei modi concordati, le spese erano state contenute e di sprechi nemmeno più l’ombra. Invece? Invece niente, città grandi medie e piccole, che per la miliardesima volta si erano impegnate a non essere più così discole nel tenere i propri conti, si ritrovano “salvate” da un paio di emendamenti al cosiddetto decreto Mille proroghe, proposti dal Movimento 5 Stelle e approvati sia dalla maggioranza che dal resto del centro destra ma con il voto contrario di sinistra e Pd (nessuna resipiscenza, è piuttosto riflesso condizionato): prima al Senato, su proposta del senatore grillino Ugo Grassi e poi alla Camera grazie al fervido impegno dei deputati Giuseppe Buonpane e Vittorio Baldino. Dichiarazioni roboanti e festeggiamenti vari sulla rete e sui media hanno fatto poi il relativo seguito.

Un miliardo di euro (un altro) viene così stanziato in favore di tutti questi enti con i conti in rosso e con scarse prospettive di risanamento, tant’è che, se non ci fossero stati questi emendamenti, a breve sarebbero andati in default: i Cinque Stelle, al contrario, hanno fornito loro l’opportunità di mantenersi in vita prelevando dalla cassa comune altro danaro dinanzi alla “solenne promessa” di comportarsi bene e gestire la cosa pubblica con la diligenza del buon padre di famiglia. Da domani, s’intende. La girandola può così ricominciare, almeno fino alla prevedibile prossima volta. Eppure la stessa Corte dei Conti, di recente, s’è pronunciata in maniera decisa e netta al cospetto di questi casi disperati, partendo dagli 1,7 miliardi che solo il comune di Napoli, ad esempio, conserva come buco di bilancio nonostante la famosa “rivoluzione arancione” del sindaco De Magistris, anzi forse proprio a causa di essa visti gli anni trascorsi al potere dall’ex pubblico ministero. Per non dire della drammatica situazione di Catania, cui servirebbero circa 400 milioni di euro per poter respirare. La maggior parte degli enti in pre-dissesto sono, manco a dirlo, al Sud: comprendendo il Lazio ed escludendo il bubbone rappresentato da Roma, sono ben 131 nel Mezzogiorno, 16 nel centro-nord (Emilia compresa) e “soltanto” 14 al nord. Cui si aggiungono 12 province che, abolite molto virtualmente, continuano a sprofondare nel baratro.

Ora il miliardo di euro di stampo grillino sarà spalmato tra tutti questi enti dove non sono pochi a tirare un sospiro di sollievo dinanzi alla fine certa della propria carriera politico-amministrativa: naturalmente, la cosa è stata presentata come un atto del “governo del cambiamento”, una cosa rivoluzionaria (si veda quanto riportato dal Blog delle stelle al riguardo), anche se il sapore rimanda molto agli andazzi delle prime e seconde repubbliche cosiddette. Tecnicamente funzionerà così: se l’ente locale ha presentato o presenterà entro il prossimo 30 novembre un altro piano di riequilibrio finanziario pluriennale, la ricognizione dei debiti fuori bilancio sul raggiungimento degli obiettivi intermedi è effettuata dopo l’approvazione del rendiconto dell’esercizio 2018. Inoltre «il mancato adeguamento dei tempi di pagamento dei debiti commerciali non costituisce motivo per il diniego delle riformulazioni o rimodulazioni» previste dal Testo unico degli Enti locali, «fermo restando il rispetto dei termini di pagamento oggetto di accordo con i creditori di cui al piano riformulato o rimodulato». Si ricomincia.
Fonte_ dal quotidiano “Libero”

Peppe Rinaldi

Giornalista

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