NovaetveteraLectio di Rusconi ad Avellino sull’imprevedibile «populismo» di Bergoglio

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L’VIII edizione de “Il Borgo dei Filosofi”, festival di filosofia che si tiene ad Avellino, quest’anno è stata dedicata alla riflessione su “Populismi e identità europea”. Tra gli studiosi italiani e stranieri che si sono confrontati su un tema di particolare attualità e di svariata connotazione vi è stato Gian Enrico Rusconi, docente emerito di Scienza politica all’Università di Torino e alla Freie Universität di Berlino, germanista ed editorialista di punta del quotidiano La Stampa. L’intervento di Rusconi su “Teologia del popolo e populismo in Papa Bergoglio” ha colto un aspetto particolare dell’argomento in discussione, pur mutuato da un suo saggio di ben altro spessore quale “La teologia narrativa di papa Francesco”. Un approccio dello studioso “come un laico che analizza il discorso teologico e la sua evoluzione quali fattori culturalmente e politicamente significativi per capire il nostro tempo”.

 

In effetti, il tema della teologia del popolo è uno degli aspetti di un pontificato così complesso da sfuggire ad un’immediata valutazione e di per sé non è neppure assimilabile al populismo strettamente inteso. Come è emerso dalla lectio di Rusconi e maggiormente dal dibattito che lo stesso Autore ha sollecitato da un uditorio attento e motivato, la teologia del popolo di Bergoglio è l’espressione di una più complessa «teologia narrativa», originale formula con cui s’intende sintetizzare la trasmissione e la ricezione del discorso su Dio promosso da questo pontificato. La nozione di teologia narrativa è da Rusconi ricondotta ad un’esposizione delle verità di fede per cui “i concetti fondamentali della religione cristiana quali creazione, peccato originale, redenzione, salvezza rimangono indicazioni vaghe”. Tanto più che “Bergoglio intende riattivarle tramite una «teologia narrativa» che riattualizza i fatti biblici ed evangelici presentandoli come se fossero eventi del quotidiano di oggi”. In tal senso, appare congruente con l’assunto il racconto fatto dal Papa in una delle sue omelie feriali in S. Marta, regolarmente riproposte nelle edizioni dell’Osservatore Romano – il Bergoglio autentico, secondo Rusconi -, sulla cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva a seguito della loro caduta dallo stato di grazia originario. Per il Papa non è il tema dell’ira di Dio con le conseguenze teologiche del peccato originale e del sacrificio espiatorio di Cristo a costituire il focus della narrazione, ma il particolare di Genesi 3, 21 delle due tuniche di pelle confezionate dall’Onnipotente per coprire le nudità dei progenitori quasi a “restituirne la dignità”. Questa particolare lettura illumina sulla scelta operata da Bergoglio di fare della «misericordia» il leit motiv di tutto un pontificato con tanto di giubileo straordinario dedicatovi, ma anche con il rischio di appannare le verità di fondo su cui si regge tutta la dogmatica del Cristianesimo, cattolico in particolare.

Ad una teologia narrativa così formulata corrisponde la nozione di «mito» da non intendersi semplicisticamente come racconto prerazionale o sovrarazionale, quanto come proposizione razionale, dotata di una sua coerenza interna, che ottiene validazione nei processi di ricezione e trasmissione. Questo particolare modo d’intendere il mito, che Rusconi riprende dal filosofo contemporaneo Hans Blumenberg, fa della narrazione di Bergoglio una riproposizione di altrettanti “miti”, adattati alla sensibilità dell’uomo contemporaneo non avvezzo a concepire un’offesa d’infinita portata cui consegue una riparazione di altrettanta portata.

La nozione di mito così formulata rende anche ragione della definizione di Francesco del popolo come “categoria mitica”. La cosiddetta teologia del popolo, coeva della più nota teologia della liberazione di stampo marxista condannata negli anni ’80 dalla Congregazione per la dottrina della fede e dal suo prefetto Ratzinger, è la matrice di riferimento di un papa formatosi alla scuola di pensiero del teologo argentino Scannone. Già in Evangelii Gaudium, primo documento magisteriale di Francesco, al popolo è dedicato uno spazio del tutto speciale. Il popolo coincide tout-court con il «Popolo di Dio», concetto sotto il quale si riporta la moderna nozione di Chiesa così come codificata dal nuovo Codice di Diritto canonico sul modello delle definizioni del Concilio Vaticano II. Per Bergoglio, però, il Popolo di Dio si concretizza nei singoli popoli della storia con un primato della cultura sulla tradizione. Gli stessi assiomi formulati in Evangelii Gaudium, motivo di serrato dibattito, per cui la realtà è superiore all’idea, il tempo è superiore allo spazio, il tutto è superiore alla parte e l’unità prevale sul conflitto, se riportati all’idea di popolo come categoria mitica, lo proiettano in una dimensione paradigmatica e, contro le intenzioni del loro stesso autore, ideale. Il popolo diventa così depositario di una forma di solidarietà naturale che nasce dalla condivisione di povertà ed emarginazione. Alla traslazione del concetto in ambito ecclesiale soccorre l’elemento della «pietà popolare» con cui – sono parole di Bergoglio – “il popolo evangelizza continuamente se stesso”. Una riconduzione di queste affermazione al populismo classico appare riduzionistica a detta dello stesso Rusconi, tanto più che il Papa in più di un’occasione ha contrapposto un sano populismo, quello dei movimenti popolari di stampo latino-americano a lui molto cari, alle sue degenerazioni nella storia europea, esordi del III Reich in primis. Una contrapposizione invero fittizia se solo si considerano le origini e gli esiti di molti regimi dell’America del Sud.

La conferenza di Gian Enrico Rusconi ad Avellino ha dato conto delle straordinarie complessità di un pontificato che è filtrato dalla vulgata giornalistica nelle forme di una rivoluzione. Per l’Autore della formula «teologia narrativa» esso appare tutt’altro che rivoluzionario nell’irrisolta e, forse, irrisolvibile tensione tra i diritti di Dio e i diritti dell’uomo. Solo un approccio semplicistico alla questione può porre sullo stesso livello tale polarità che si sostanzia di concetti quali il peccato originale e il sacrificio espiatorio di Cristo non risolvibili entro la categoria di un amore che si dona gratuitamente sino al sacrificio della vita. Non senza mettere in crisi, comunque, l’architrave del pensiero teologico di Agostino e di Anselmo della felix culpa, ovvero di una colpa originaria che ha meritato nella sua infinitezza un atto infinito di redenzione.

Appare quindi di chiara evidenza la difficoltà di approccio sistematico ad un’esposizione teologica in forma narrativa in linea con l’affermazione di Rusconi per cui “forse l’era di Bergoglio è fatta proprio di queste incongruenze”. Un’era i cui sviluppi appaiono anche allo stesso Rusconi del tutto imprevedibili.

 

Nicola Russomando

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