AGORA'OmissisReddito di cittadinanza: Chi deve trovarci un lavoro non sa accendere un pc

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«La vuoi la verità? Io non so neppure accenderlo questo computer che vedi qui sulla mia scrivania». Volendosi accontentare basterebbe questa frase sussurrata in confidenza al cronista da un simpatico impiegato di un centro per l’impiego del Salernitano per farsi un’idea di che cosa sta –o starebbe- per accadere in Italia di qui a poco più di un mese con l’entrata in vigore delle norme sul “Reddito di cittadinanza”. Ciò che qui a Libero liberamente abbiamo chiamato «paghetta per i fannulloni» tanto per capirci.  In realtà, com’è normale che sia, le cose sono più complesse e non è tutto folclore quel che appare.
 Libero ha fatto un giro, un po’ in incognita e un po’ no, tra alcuni uffici di collocamento (Centri per l’impiego) della Campania e, al di là della battuta del pensionando dipendente che manco sa avviare un computer, la prima cosa che ha notato è che gli impiegati stanno lavorando: il che, come effetto indiretto del reddito di cittadinanza, non è poi tanto male se si considera che, al netto di atavici pregiudizi, i dipendenti di queste strutture erano ormai entrati nell’immaginario collettivo quali misteriose figure in corso di identificazione. Si sapeva soltanto che un pezzo, un pezzettino diciamo, del bilancio dello stato era loro dedicato per il pagamento degli stipendi di fine mese. Da anni. Oggi li osservi e li vedi che tribolano, si impegnano e provano a farsi trovare pronti quando l’ondata sarà piena. C’è da capirli.

Il cronista ha girato per alcuni centri della provincia di Salerno, con puntate nell’Avellinese e a Napoli e la risposta è stata sostanzialmente unanime: abbiamo avuto disposizioni di non rilasciare dichiarazioni ai media, unico titolato a parlare è l’assessorato al lavoro della Regione Campania. Come mai?
Lo spiega il direttore centrale della struttura della provincia di Salerno (1,5 milioni di abitanti, il 2% della popolazione italiana), il dottor Marco Coppola, che con piglio garbato e professionale spiega a Libero: «Ci sono stati di recente episodi sgradevoli nel rapporto con l’informazione: si tratta di un argomento molto serio, di una materia “sensibile” che va maneggiata con cura per evitare di ingenerare falsi convincimenti nell’utenza, ecco perché dai vertici hanno ritenuto opportuno uscire pubblicamente con una voce univoca. Mi dispiace». Comprensibile ma non irrimediabile, dal momento che parlottando qua e là la realtà viene a nudo comunque, almeno per quel che è stato possibile capire in Campania. E cioè: che, in fondo, gli impiegati sono sì preoccupati ma fino a un certo punto perché le rogne per loro arriveranno in terza battuta.
Prima dei centri per l’impiego c’è la via crucis dell’Inps e di Poste italiane. E quando arriveranno qui? Be’, la scommessa è aperta, vedremo.

Quel che si capisce, ancora, trotterellando fra questi mitici uffici di collocamento è che un altro effetto potenziale dell’introduzione della paghetta a 5 Stelle sarà un nuovo esodo verso il nord dei fruitori della misura assistenziale.
Essendo quella l’unica area del paese in grado di offrire un mercato (relativamente) aperto e in cerca di personale, ed essendo la nuova norma tarata sui nuclei familiari e non sul singolo, nulla potrà escludere che un membro della famiglia accetti la eventuale offerta e traslochi così verso Lombardia, Piemonte, etc. Tanto (almeno finora) il nucleo d’origine del beneficiario quella assistenza non la perderebbe comunque. Forse nelle mire di Di Maio & C. c’era sì solo il Sud ma inteso come area da affossare definitivamente con un altro spopolamento. Pagato a debito, peraltro. Misteri stellati.

Ad Avellino spalancano le braccia perché ti dicono, sempre a taccuino chiuso: «Il vero problema è il mancato incrocio dei dati, cioè la domanda come faccio a metterla in relazione all’offerta se a partire dagli imprenditori nessuno ha idea di cosa, chi, dove e quando trovare il lavoro. E i famosi tutor? «Boh, noi non ne sappiamo niente». Dopo anni di «intermediazione di manodopera» regolata dallo stato con le famose agenzie interinali, invenzione del centrosinistra sindacal-governativo dell’ultimo trentennio, i centri per l’impiego si trovano schiacciati da un mondo che, paradossalmente, conoscono poco, al di là di chi ne abbia la responsabilità.

Eppure lì trovi alcuni dirigenti capaci e competenti, ci è successo nel centro per l’impiego di Eboli, (nella foto) pronti a caricarsi una croce in fase di ultima definizione legislativa prima del grande giorno di entrata in vigore (si parla del 6 aprile). Certo, c’è poi tutta la partita dell’adeguamento tecnologico che, stando a quanto visto in un paio di centri del Napoletano non è esattamente all’avanguardia. Ma –come si dice?- tempo al tempo. In Italia ce n’è da vendere.
* dal quotidiano “Libero” del 4 Marzo 2019
*Foto 2 _ Ansa

Peppe Rinaldi

Giornalista

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