AGORA'Eolico: il vento dell’ideologia (e degli affari) che distrugge il territorio

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Lo spunto per una riflessione su quanto sta avvenendo in Campania in materia di eolico ci viene offerto da Legambiente che a Napoli, nel marzo scorso in occasione dell’arrivo in città del “Treno Verde”, diffonde alcuni dati: con i 28,978 mila impianti da fonti rinnovabili la regione, secondo la holding ambientalista, ha tutte le carte in regola per raggiungere gli obiettivi di «decarbonizzazione» al 2050. 
Ma a quale prezzo?

 

Osservando il territorio è inevitabile il colpo d’occhio di fronte al susseguirsi di pale l’una accanto all’altra, paesaggi costellati di tralicci che, vuoi per l’inquinamento acustico vuoi per lo scempio del paesaggio vuoi per il crollo del valore immobiliare dei beni prossimi agli impianti, non sembra volere proprio nessuno: eppure spuntano come funghi, erodendo poco a poco la macchia mediterranea con tutto quel che ciò comporta. Un business da svariati milioni di euro e che, osservato attentamente, sembra essere solo per pochi. Dal 1992, anno in cui a Bisaccia, in provincia di Avellino, nacque un “parco eolico sperimentale” a partecipazione pubblica, fatto poi fallire, l’affare si è ramificato in tutto il mezzogiorno e le multinazionali dell’energia hanno approfittato dell’assenza di un piano energetico organico. E quando non c’è partecipazione pubblica nella gestione dell’eolico, nulla rientra nelle tasche dei cittadini che, anzi, si ritrovano in bolletta una sovrattassa con la dicitura “incentivi”. Un aiuto di Stato (aste incentivanti) pari a 5 miliardi all’anno (dal primo gennaio 2016 per venti anni, per un totale di cento miliardi), estorti con il 4,5 per cento. Ma per chi o cosa il cittadino versa la sua quota?

 

Nel Mezzogiorno d’Italia il sorgere incontrollato dei parchi eolici, che poco o nulla hanno a che fare con la tutela ambientale, ha consentito una spartizione del territorio ad opera delle grandi “fabbriche del vento” che hanno trovato terreno fertile in Puglia, Campania, Calabria: qui nell’ultimo decennio si è cementificato e costruito in tempi record, senza considerare il diffondersi del cosiddetto «mini eolico», vale a dire piccoli impianti sorti a macchia d’olio sul territorio. E tutto questo senza che a livello centrale venisse opposto un argine, anzi si è pensato di scrollarsi di dosso il fardello affidando alle Regioni la gestione delle fonti energetiche rinnovabili. Abbagliate dal fascino di un investitore straniero, dalla possibilità di un immediato guadagno, pur trattandosi di pochi spiccioli, si sono semplicemente limitate ad avviare l’iter burocratico, svendendo letteralmente i territori al miglior offerente. Edison, Green Power, E.On, Sorgenia, e poi olandesi, spagnoli e cinesi, tutti oggi sono coinvolti nel “business dell’eolico” e molte sono le regioni che hanno subito la fascinazione, tra cui la Campania.

E’ proprio qui che l’Ipvc di Vigorito, come la Fortore Energia in Puglia o la Moncada in Sicilia, ha creato il suo impero monopolizzando il mercato. Lo stesso Vigorito che, come presidente dell’Anev, associazione degli industriali del vento, sottoscrisse nel lontano 2005 un protocollo d’intesa con Legambiente per la promozione dell’eolico in Italia. E il risultato è sotto gli occhi di tutti. 
Come se lo sfruttamento delle risorse naturali non fosse una questione collettiva. Per anni la missione è stata tutelare l’interesse del privato, pronto a far sfregio del territorio con la costruzione di questi nuovi ecomostri. Le imponenti strutture metalliche, alte fino a 100 metri, che troneggiano sul paesaggio, hanno stravolto l’ambiente, mutandone i connotati e non appare certo un successo incentivare l’impianto di enormi piloni d’acciaio, con fondazioni di cemento armato di quasi venti metri, in aree dove neanche lo scirocco è mai spirato.


L’energia da fonte rinnovabile come unica risorsa è da sempre il sogno ambientalista, una visione utopistica condivisa anche da alcune pubbliche amministrazioni che hanno favorito lo sviluppo indiscriminato degli impianti. 

Solo nello scorso anno in Campania sono stati bloccati diversi impianti sorti illegalmente: l’Irpina la terra più colpita, e comuni come Casalduni, Pontelandolfo, Campolattaro, Lacedonia, non ultima la montagna di Morcone sono stati investiti dal “vento” del malaffare. Per correre ai ripari nel marzo 2017 la Regione Campania si dota di un piano energetico ambientale, a cui seguirà variante nel novembre 2017, ma ormai “i buoi sono fuggiti”.
Il Salernitano non è da meno nella produzione di potenza da fonti rinnovabili, e anche qui gli impianti fioccano.
Oltre al parco di San Gregorio Magno (17 turbine localizzate su terreni comunali, estendendosi su quattro crinali con una produzione di energia di 39 MWe), è in piena attività il parco eolico nel comune di Campagna (10 macchine, suddivise in due sottocampi, localizzati su due crinali che si affacciano sulla valle del Sele con 20 MWe di potenza elettrica), quello di Ricigliano (11,5 Mwe) e a Castelnuovo di Conza, impianto costituito da cinque turbine. 
Ma ciò che desta inquietudine è la miriade di torri sorte grazie agli incentivi del “mini eolico”, aerogeneratori vertiginosi che spuntano qua e là senza un disegno organico. In provincia di Salerno pare essersi diffusa una moda, a cui non può sottrarsi un’azienda agricola o industriale che voglia svilupparsi innovando. Il prezzo però pagato dal territorio appare molto alto rispetto agli effettivi profitti. Oltre allo sfregio dei panorami, le turbine diventano moleste non solo per gli abitanti del cielo, vittime inconsapevoli delle correnti d’aria provocate, ma anche e soprattutto per gli sventurati che vi abitano in prossimità. E’ dell’estate scorsa la protesta dei cittadini del comune di Albanella nel Salernitano, residenti nelle vicinanze del parco eolico ospitante dieci aerogeneratori. “E’ come vivere in un aeroporto”– hanno dichiarato quanti per settimane sono stati sottoposti ad un vero supplizio: nelle orecchie un rumore costante e insopportabile, altro che passeggiata nella natura. E chi si cura di tutelare i luoghi dall’inquinamento acustico e, stante la vicinanza delle torri dalle abitazioni, dagli effetti del “shadow flicker”, ovvero l’ombreggiamento intermittente generato dalla rotazione delle pale e che determina disagi per chi risiede in posti con vista torri?
Strano concetto di economia verde se ciò che si pianifica per i posteri sono piloni d’acciaio tra le nubi e silicio al posto degli ulivi. Non ci vorrà molto prima che non ci sia più traccia della Campania felix.

 

Emanuela Carrafiello

Giornalista

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