NovaetveteraGiffoni, corteo della Spina Santa: 6 secoli trascorsi per “non dire il non vero”

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Che il medioevo vada di moda sembra essere confermato dalle varie “feste medioevali” e/o rievocazioni storiche che per ogni dove si ritrovano in Italia. Così a Giffoni Valle Piana dove è giunta alla terza edizione il “Corteo storico per la rievocazione dell’arrivo della Spina Santa a Giffoni”. La manifestazione intende rievocare il dono di una spina della Corona di Cristo, che il cardinale Leonardo de’ Rossi, giffonese di origine, secondo una costante tradizione fece alla sua terra natale agli inizi del XV secolo.

È il caso di insistere sulla tradizione perché della consegna della reliquia manca ogni traccia di documento, nonostante la figura storica del prelato e la sua centralità in uno dei periodi più convulsi della storia della Chiesa, il grande scisma d’Occidente con due papi prima, poi anche tre, in contemporanea a disputarsi la tiara.
E così, Leonardo de’ Rossi, ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori di S. Francesco nel 1373, cardinale di S. Romana Chiesa nel 1378 ad opera di quello che passa per l’antipapa Clemente VII, si ritrova conteso tra l’obbedienza romana di Urbano VI e quella avignonese del suo “creatore” non foss’altro che per la rendita di posizione rappresentata dal potente e diffuso Ordine dei Francescani da lui presieduto. Sbattuto di qua e di là dai marosi che sconvolsero la politica europea tra sostenitori dell’obbedienza romana e di quella avignonese, alla fine si ritrova prigioniero di Carlo di Durazzo, invasore del Regno di Sicilia sotto le insegne di Urbano VI da cui scacciava la regina Giovanna d’Angiò, sostenitrice invece di Clemente VII.

Il 18 settembre del 1381, come si legge nelle cronache dell’epoca, nella basilica napoletana di S. Chiara alla presenza di tutto il popolo il cardinale Leonardo “Griffone”, legato di Clemente a Napoli, era destituito dalla dignità cardinalizia, dovendo in pari tempo riconoscere l’illegittimità della sua nomina come pure quella di Clemente VII a papa. Rimasto prigioniero di Urbano per cinque anni, lo si ritrova reintegrato nella sua dignità di porporato alla corte di Avignone dalla fine del 1386 fino alla morte nel 1407 a scisma ancora aperto. In questi anni Leonardo de’ Rossi è tutto versato nell’attività di teologo e di controversista per sanare la divisione del grande scisma a favore di Clemente VII prima e del suo successore Benedetto XIII, salvo poi sposare nel 1398 le tesi dell’Università di Parigi e della Corona di Francia a favore della contemporanea rinuncia dei due papi con l’elezione ex novo di un terzo. Di tutto ciò sono sicura prova i trattati teologici del cardinale a sostegno della tesi avignonese e poi di quella della duplice rinuncia e, nella prossimità del Giffonese alle tesi della Sorbona e della monarchia francese, deve cogliersi il nesso con la famosa reliquia della S. Spina. Infatti, sin dal 1239 i re di Francia sono proprietari della Corona di Spine, di cui fu coronato secondo i Vangeli per dileggio Cristo, venduta a S. Luigi IX da Baldovino II, re latino di Costantinopoli. Qui gli imperatori bizantini dal VII secolo avevano traslato da Gerusalemme gran parte dei “trofei della passione” per salvarli prima dai Persiani e poi dagli Arabi. La Corona di Spine, che ancora si venera a Notre Dame di Parigi in forma di fascio di giunchi ma senza spine, fu oggetto anche di smembramenti per farne dono a ragguardevoli personaggi e per ingraziarsene i favori. È verosimile che Carlo VI, re all’epoca dello scisma, abbia donato a Leonardo de’ Rossi, una di queste spine in riconoscimento dell’adesione alla tesi della duplice rinuncia, cosa che gli valse anche la scomunica da parte di Benedetto XIII. Verosimile, ma non documentato da nessuna fonte ad oggi nota, salvo che da uno studio del 1904 dell’archeologo Fernand de Mély, Exuviae Sacrae Costantinopolitanae, minuziosa ricerca sull’origine delle reliquie riconducibili alla Passione di Cristo, si evinca che dal computo ricostruito delle spine donate dai re di Francia ne mancano all’appello almeno due. Settantadue sono le spine della Corona ricordate in un sermone da S. Vincenzo Ferrer, contemporaneo del de’ Rossi, solo settanta quelle identificate nella provenienza da de Mély.
Una delle mancanti potrebbe essere quella venerata a Giffoni da oltre seicento anni, la cui capsula-reliquiario in cristallo di rocca esagonale con chiusure d’argento di fattura gotica già costituisce chiaro indizio di provenienza e datazione. Inoltre, un memorialista del Settecento, il medico Vincenzo de Caro, nei suoi Commentari sull’antico e moderno Stato di Giffoni, ricordava che ancora all’epoca si mostravano nel locale convento francescano la cassettina, “ancorché maltrattata dal tempo” in cui la reliquia era stata recata e una bibbia manoscritta “a caratteri gotici in cavata membranile, con pitture intagli ed intarsiature d’abilissimi mosivisti”, anch’essa dono del cardinale de’ Rossi. Oggetti questi scomparsi a seguito della soppressione francese del convento nel 1807 con tutto il prezioso ed “imbrogliatissimo” archivio, come lo definiva lo stesso de Caro, e dove forse poteva trovarsi qualche traccia della trasmissione del “sacro deposito”.

Se questo è il quadro storico, appare quanto meno inverosimile la coreografia della rievocazione che si tiene a Giffoni con sbandieratori, trombettieri, tamburi, cardinali in alta tenuta e strade pavesate a festa. Allorché la consegna avvenne, considerando la situazione politica generale e soprattutto la costante permanenza del de’ Rossi ad Avignone e comunque in Francia sino alla morte, come documentano le fonti, questa sarà stata effettuata mediante un delegato e in totale sordina. Il gesto clamoroso non era di sicuro legato alla forma quanto al contenuto del dono, che “faceva di Giffoni la terra natale di Gesù”, come si legge in una bella lapide del 1950 posta a ricordo dell’evento. Brutto è invece il monumento elevato negli anni ’80 a Leonardo de’ Rossi nella stessa chiesa della SS. Annunziata, che custodisce l’insigne reliquia, peraltro con la falsa indicazione che lo fa cardinale di Urbano VI, ovvero di colui che lo destituì e lo tenne prigioniero per un quinquennio.
Si sa che, “fatta salva la competenza dei soliti incompetenti”, tutto può passare per buono. Non così al vaglio della critica per cui vale sempre la massima di Cicerone “la prima legge della storia sia che non si osi dire nulla di falso, quindi che non si osi non dire il vero”. Anche quando si tratta, semmai, di semplice rievocazione storica.

 

Nicola Russomando

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