NovaetveteraIl dare e avere con i santi è una «disgrazia ricevuta»

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“Per disgrazia ricevuta”: è questo il titolo della piéce teatrale di Manlio Santanelli in scena a Salerno per la regia di Antonello De Rosa, che ha anche diretto di recente per il teatro Bellini di Napoli “Le tre verità di Cesira” dello stesso autore. La commedia, ambientata secondo un cliché tipico di Santanelli nella Napoli popolare dei bassi, affronta il complesso rapporto della devozione della città verso il suo patrono San Gennaro. Rapporto stratificato in sedimentazioni religiose ataviche che nella riproposizione del testo teatrale diventa occasione di situazioni paradossali.

 

Se è vero che spesso nella pietà popolare è dato di riscontrare un rapporto contrattualistico con il sacro (do ut des), per cui la devozione per un santo, e quella per San Gennaro lo è in forma emblematica, è caratterizzata dall’idea dello scambio, in Santanelli la richiesta di grazia produce l’effetto paradossale dell’ultra petitum, ovvero del risultato che supera la richiesta. Un  superamento però che, per essere paradossale, investe, miracolisticamente, la supernaturalitas, quanto va oltre la natura dell’umano. Sicché di due devote del santo, “un’onesta donna di strada”, che chiede per sé di cambiar vita e di superare il “puntone” semmai per un anziano signore facoltoso cui prestare attenzioni in via esclusiva, e una nonna con unica nipote ventenne senza seno cui rimediare l’inconveniente fisico, per intervento del santo la prima si ritrova virgo intacta, la seconda con la ragazza ridotta ad una specie di Artemide efesia con sessantadue seni sparsi su tutto il corpo.  

 

Al di là dell’esito paradossale delle devote richieste di grazia, nella vicenda non è dato leggere quelle note di umanità dolente cui ricorre un certo teatro sociologico, piuttosto la consapevole e rivendicata realtà di un’esistenza, cui solo l’intervento del sacro può porre rimedio nel riequilibrio delle situazioni. Così il racconto dei personaggi procede attraverso la rievocazione della realtà quotidiana di una Napoli che ormai sopravvive forse solo nei testi letterari, tutta segnata dalla presenza di San Gennaro quale termine ultimo della speranza. E se la protesta per i risultati arriva fino all’invettiva che produce per nemesi l’immediata punizione del colpevole, il pragmatismo dello spirito napoletano fa sì che ancora una volta si faccia pregio della realtà, qualunque essa sia, con la proposta di una soluzione circense con il numero della “impenetrabile e della cento zizze”.

Commedia a tratti esilaranti, condita dal meglio del repertorio dei motti di spirito partenopei, nella riproposizione salernitana è sostenuta dalle robuste interpretazioni di Mauro De Simone nella parte della “onesta donna di strada”, di Giovanni Pisacane in veste di nonna e di una delicata Simona Fredella nel ruolo di una nipote ormai definitivamente alienata dalla “disgrazia ricevuta”. 

Che ruoli femminili siano stati affidati dalla regia a maschi aggiunge solo paradosso a paradosso e  non sembra possa rappresentare una concessione alla teoria del gender. Anzi la comicità ne risulta rafforzata specie laddove la canzonatura è resa esponenziale dall’improbabilità di quelle donne sul palcoscenico della vita. Si rivela particolarmente felice anche la soluzione adottata dalla regia d’inserire in scena l’audio originale delle canzoncine che “le sorelle di San Gennaro” mettono in scena in occasione dei tridui che precedono il miracolo della liquefazione del sangue del martire. Tutt’altro che segnate da ingenua devozione popolare, quelle canzoncine dal ritmo litanico manifestano una solida fede trinitaria che colloca l’autentica devozione a San Gennaro nella piena ortodossia cattolica. 

Non così la chiusa musicale della commedia affidata alle note di Salve del ciel Regina, che richiama invece il culto liturgico, palesandosi uno scherzo del tutto fuori campo. 

Nelle battute della  “onesta donna di strada” vengono evocati due proverbi-modi di dire ricondotti dal personaggio ad “origine puttanesca”: “chi lascia la strada vecchia per la nuova” e “due piccioni con una fava”. Se ne potrebbe aggiungere un terzo pure ricavato dalla sapienza popolare, “scherza coi fanti e lascia stare i santi”. Il proverbio, ribadendo i confini invalicabili del sacro, trova conferma nella devozione popolare verso San Gennaro per cui Napoli non concepisce scherzi, ma un rapporto più che viscerale con il suo patrono, non scalfito né da antropologia né da sociologia.

Ulteriori repliche della commedia di Santanelli avranno luogo a Pontecagnano presso il teatro dell’associazione Maschera nova il 14 e 15 marzo prossimi.

Nicola Russomando

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