ARCHIVIONapoli, l’Eav paralizza la città: centomila pendolari a piedi

admin07/03/2013
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Sciopero trasporti

Manca solo il terremoto e poi all’ingresso di Napoli si può affiggere il mitico cartello con la scritta: “Completo”. Cos’altro deve accadere dopo che nel volgere di poche ore è venuta giù l’ala di un antico palazzo del centro ed è stata incenerita una delle isole di civiltà dell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie?

 

Ad esempio può capitare che, di buon mattino, almeno centomila persone rimangano appiedate ex abrupto, cioè all’improvviso e senza sapere il perché: centomila individui che dovevano andare al lavoro, a scuola, in ospedale, negli uffici pubblici, in quelli privati, a far visita ai parenti. Insomma muoversi, quindi vivere: almeno fin là dove questo concetto non ha significati ulteriori.

E’ esattamente quel che è successo ieri quando all’ingresso delle linee di circolazione su ferro dell’Eav (Ente Autonomo Volturno, la holding dei trasporti napoletani) gli utenti hanno letto il tradizionale, freddo e cinico cartello: «Tutte le corse sono soppresse». Tutte le corse? Possibile? E perché? Semplice: i dipendenti non hanno ricevuto lo stipendio di febbraio e, pertanto, hanno deciso di incrociare le braccia. Senza se e senza ma: e, soprattutto, senza avvisare nessuno, umiliando cioè quelle regole minime che governano (rectius, dovrebbero governare) la convivenza civile. Segno che il tappo della bottiglia è saltato a causa di una pressione che si fa via via più incontenibile. Circumvesuviana, Cumana, Circumflegrea e Metrocampania Nordest: un sistema di collegamento tra Napoli e i centri della sua sterminata cintura urbana che serve mediamente oltre centomila persone ogni giorno, ma nessuna di quelle sigle aveva avviato il motore delle proprie macchine. In pratica, duemila dipendenti che d’improvviso incrociano le braccia (ma l’autorità sugli scioperi promette già conseguenze per gli aderenti) e lasciano al palo decine e decine di migliaia di persone. E senza che qualcuno potesse fare alcunché: a dire, invece, c’è stato di tutto, da una marea di indignate proteste in corsa sul web a scene di autentica arrabbiatura partenopea. Comprensibili, del resto.

Duemila autisti, sul versante opposto, inviperiti per il tira e molla di numerosi fine-mese durante i quali non sai mai se lo stipendio ti arriva o no: legittime ragioni che si scontrano, da un lato e dall’altro, con al centro un quadro complessivo della vivibilità cittadina e circondariale non esattamente tra i migliori d’Italia. Ma quei duemila dipendenti hanno azzeccato la mossa: nelle prime ore del pomeriggio di ieri, infatti, l’amministrazione dell’Eav ha reso noto che la Regione Campania ha reso immediatamente disponibili 39 milioni di euro. La somma è un anticipazione dei 74 milioni destinati all’ Eav dopo le richieste avanzate dal commissario Pietro Voci. Ventitré milioni e 750 mila euro circa sono destinati all’istituto di credito “Ifitalia”, con cui viene però chiuso il rapporto di cessione dei contratti di servizio. In futuro i pagamenti avverranno in maniera diretta, saltando l’intermediazione (era ora), abbreviando i tempi e semplificando il rapporto tra Regione e la società per il trasporto pubblico locale. Quindici milioni -fanno sapere dall’Eav – andranno nelle casse societarie «per fronteggiare le emergenze finanziarie in cui versa l’intero gruppo, a partire dal pagamento degli stipendi».

L’Eav è stato, come quasi ovunque in Italia, uno di quei maxi carrozzoni pubblici serviti alla «cura dell’elettorato», tanto per usare un beffardo eufemismo. Durante gli anni delle vacche grasse, quando a Palazzo Santa Lucia decidevano tutto Bassolino e De Mita, la struttura ha rappresentato uno dei bracci armati della politica. Con il crollo di un intero universo, i nodi sono venuti al pettine: Caldoro sta tentando di mettervi una pezza e finora sembrerebbe esserci riuscito, facendo fare all’Eav il suo turno di cura dimagrante. Non sempre ci riesce in tempo. Ieri mattina in centomila almeno ne hanno avuto un altro assaggio.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 7 marzo 2013)

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